Perché i progetti spesso falliscono o si concludono senza rispettare i vincoli di budget, tempistiche e obiettivi? “Processi e strumenti classici di gestione progetto sono entrati in crisi. Basti pensare che il diagramma di Gantt è stato sviluppato nel corso della Prima Guerra Mondiale!” così Luca Comello apre l’intervista rilasciata per Eventi Nord Est de Il Sole 24Ore, nel numero oggi in edicola.
Già dagli inizi del 2000 si è cercato di trovare valide modalità per consentire ai team di lavorare in maniera flessibile e vantaggiosa, capace di adattarsi maggiormente ai cambiamenti delle realtà produttive e alle esigenze del cliente. Agli approcci tradizionali lineari, sequenziali e orientati al processo si sono contrapposte metodologie leggere, elastiche, il cui punto di forza è la capacità di adattarsi al cambiamento. Pratiche di sviluppo e gestione progetti che possono essere raccolte sotto il nome di Agile Project Management. Eppure, soltanto negli ultimi anni sembra essere diventato un concetto conosciuto al di là dell’essere una semplice parola “di moda”, facendosi strada all’interno di diversi contesti di business.
“Parlare di Agile non è certo qualcosa di nuovo – continua – i concetti che vi stanno alla base hanno ormai una ventina d’anni. Tuttavia non dobbiamo considerarlo come un insieme immutabile di principi e pratiche, ma subisce un naturale processo di evoluzione a mano a mano che le esperienze di adozione si accumulano e presuppongono processi produttivi più ampi e complessi, incontrando tipologie di produzione anche diverse dalla realizzazione di software.”
“Ma, soprattutto, non dobbiamo considerare queste metodologie come la panacea di tutti mali, da applicare con un copia e incolla a partire dal libro di testo!”
A supporto di queste consapevolezze, al giornale abbiamo voluto raccontare la nostra esperienza di impiego di metodologie agili in diversi contesti e settori.
“Per esempio, nell’ambito di un programma pluriennale di sviluppo di una nuova piattaforma IT per uno dei più grandi gruppi bancari nazionali, Quin si è occupata di organizzare le attività e assicurare la pianificazione e la chiusura degli Sprint secondo i tempi e le risorse stabiliti. Le criticità maggiori sono state proprio il contesto aziendale e la complessità del progetto. Parliamo infatti di una multinazionale e di un’iniziativa che richiedeva il coordinamento di molti attori dislocati nel mondo, vendor diversi, e applicazioni informatiche dipendenti tra di loro. Basti pensare che siamo arrivati a gestire fino a 10 Sprint in parallelo”, ricorda Comello. “La chiave di volta è stata tirarsi su le maniche e adattare con realismo metodi e strumenti alla realtà in cui ci trovavamo”.
Da qui la necessità di dare vita ad un Agile pragmatico, funzionale, che ha portato alla sua formalizzazione con la nascita di Agile in Action:
“E’ una proposta ibrida, che prende il meglio del mondo Agile ma anche tutto il buono che c’è negli approcci più tradizionali con un unico scopo: “mettere a terra” un modello operativo e funzionale al contesto di applicazione per portare valore aggiunto al cliente, un valore aggiunto misurabile in prodotti migliori ad un costo più basso”.
“Il nostro lavoro non consiste nell’applicazione pedissequa di schemi, ma nel dare supporto alle aziende in una trasformazione che consenta di raggiungere i loro obiettivi in modo più ‘snello’ ed efficace” conclude Comello.