Le 5 fonti d’inefficienza nella Supply Chain

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Ormai sempre più complesse e frammentate sul territorio, le Supply Chain continuano a rappresentare una carta vincente nel gioco competitivo. Migliorarne le prestazioni e ottimizzarne i processi coinvolgendo l’intera filiera significa ridurre i livelli delle scorte, migliorare il servizio al cliente, disporre di una maggiore capacità di fronteggiare gli imprevisti e ottenere margini più elevati.

Qualcosa che sembra più facile a dirsi che a farsi, in contesti incredibilmente variabili e complessi come quelli dei mercati odierni, ma volendo riassumere le principali fonti d’inefficienza nella Supply Chain, le 5 principali cause che ne limitano le performance:

1. Mancato allineamento con gli obiettivi di business

Un aspetto imprescindibile per garantire l’efficacia della Supply Chain è una profonda e aggiornata conoscenza del proprio mercato di riferimento. Le aziende non offrono più sul mercato prodotti o servizi, ma soluzioni per i clienti. Se la domanda muta per composizione, tempistiche o esigenze, la catena di fornitura deve sapersi adattare per essere in grado di garantire competitività e valore per il mercato. Tale concetto può essere sintetizzato dalle 7 G della soddisfazione del cliente: il giusto prodotto, consegnato nel giusto luogo, nel giusto tempo, nella giusta condizione e confezione, nella giusta quantità, al giusto costo e al giusto cliente.

Adattarsi alle richieste della domanda è fonte di differenziazione per il produttore. Se oggi sono disponibili sistemi di gestione del cliente mirati a instaurare relazioni personalizzate e di lungo periodo per comprenderne sempre meglio i bisogni, sul fronte operativo le scelte in termini di posizionamento e di livello di servizio devono essere chiaramente declinate in modo da fornire indicazioni concrete per intervenire sulla configurazione dei processi di Supply Chain.

2. Previsioni multiple

Una pratica molto diffusa all’interno delle aziende produttive è l’esecuzione di previsioni multiple, distinguendo tra quelle relative alle vendite, alla produzione e agli approvvigionamenti. Ogni previsione, tuttavia, porta al suo interno un certo livello di imprecisione che aumenta inevitabilmente le probabilità di errore. Non bisogna dimenticare che il focus deve sempre rimanere sulla domanda del consumatore finale, di cui vanno analizzate le tendenze espansive o recessive dei consumi per quantificare i volumi di vendita effettivamente raggiungibili.

3. Informazioni non  reattive

Uno degli aspetti più critici all’interno della Supply Chain è sicuramente legato alla disponibilità di informazioni relative agli avvenimenti all’interno della filiera produttiva. Il flusso delle informazioni deve essere veloce, accessibile a tutti gli utilizzatori ai livelli appropriati, attendibile e di facile utilizzo, così che gli interessati ne facciano un utilizzo estensivo. Le aziende che riescono a liberarsi dai modelli a “compartimenti stagni” possono beneficiare di maggiore efficienza operativa a livello globale, resa possibile dalla visibilità in tempo reale degli avvenimenti che assicura la gestione proattiva dei problemi o dei processi critici.

4. Non considerare la variabilità

La variabilità è un fattore presente in quasi tutti i processi della Supply Chain, dalla valutazione della domanda alle tempistiche di consegna del prodotto finito. Molti modelli di Supply Chain Management non considerano questo fattore o suppongono che i valori medi siano validi sostituti, portando alla considerazione di errori più o meno rilevanti nei risultati. Al di fuori di modelli indicativi di “buona prassi”, è buona regola tenere ben presente la variabilità, assicurandosi sufficiente flessibilità per poter intervenire e regolare i piani per risolvere le criticità senza creare nervosismo sul resto della catena.

5. Focus solo tecnologico

Nelle moderne Supply Chain digitalizzate si è spesso convinti che l’implementazione di soluzioni integrate di SCM e di gestione dei dati siano sufficienti ad assicurare flussi operativi efficaci, eliminare i colli di bottiglia, perturbazioni o blocchi delle attività: sbagliato. La giusta collaborazione e il coordinamento trasversali ai diversi passi dei flussi logistici, ad esempio, presuppongono anche l’esistenza di un linguaggio comune e condiviso per sviluppare quelle azioni migliorative in grado di creare il valore aggiunto atteso.

Ottimizzare i propri processi operativi non è un problema solo tecnologico, ma anche (e soprattutto) organizzativo che necessita della definizione di nuove strutture, sistemi e metodi capaci di favorire al meglio l’integrazione fra le parti coinvolte nel processo di creazione del valore.

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